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Riflessioni sulla crescita dell’utilizzo dei dati nel gioco del calcio

7 Giugno 2024

👉🏻 Intro

Nel mondo moderno l’intelligenza artificiale è come l’araba fenice nel Così fan tutte di Mozart: ne parlano tutti ma nessuno sa bene di che cosa si tratti. Il che è fisiologico ed ha un senso, perché si tratta di una cosa che quale non si è ancora dato un perimetro ben preciso, data l’enorme delicatezza dei problemi che con il suo utilizzo potrebbero insorgere.

In generale l’intelligenza artificiale può essere definita come la capacità di in sistema artificiale (informatico) di creare, grazie alle funzioni matematiche applicate ad un archivio di dati raccolti ed ordinati, degli elaborati (componimenti scritti, progetti, composizioni, ecc.) simulando quanto fa l’intelligenza umana. La base è la stessa dell’informatica moderna, ossia una funzione che lavora sui dati raccolti ed ordinati, ma lo sviluppo è differente. Qui risiede la novità: se l’utilità dell’informatica (a partire dalle schede perforate fino al personal computer) consiste nella capacità di combinare i dati incrociandoli in base a dei parametri (il tutto a guida umana), quella dell’intelligenza artificiale consiste(rebbe) nel creare qualcosa di nuovo e di complesso. Se il computer, si diceva negli anni ottanta, è un “cretino veloce”, l’intelligenza artificiale potrebbe diventare un “intelligente veloce”.

Il primo neurone artificiale nasce alla fine degli anni cinquanta, ma è solo negli ultimissimi anni che i progressi conseguiti in questo settore consentono di pensare in grande in tutti gli ambiti: gli studenti si interrogano sulle possibilità di far fare all’intelligenza artificiale i compiti, i notai gli atti, gli uffici amministrativi ogni possibile pratica burocratica, i magistrati la redazione delle motivazioni delle sentenze e così via. Il tutto è in una fase molto sperimentale, ma l’aria che si respira è quella di risultati concreti molto vicini.

Al fianco delle sperimentazioni entusiastiche crescono le ammonizioni etiche sulle derive che, in qualsiasi ambito, questo mezzo (ammesso che funzioni al meglio) potrebbe riservare. Se il compianto scienziato Stephen Hawking ha tacciato senza mezzi termini l’intelligenza artificiale di essere una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità, la riflessione più interessante rimane l’attualissimo saggio del filosofo Gunther Anders, “L’uomo antiquato”, del 1956. Anders teorizza la filosofia della discrepanza: prima dell’invenzione dell’intelligenza artificiale, l’autore si pone il problema di quando l’uomo sarebbe riuscito a creare macchine che lo avrebbero da una parte superato e dall’altra addirittura reso superfluo. L’uomo antiquato nella filosofia di Anders è ovviamente un interrogativo, non una affermazione; un inquietante quanto intelligente interrogativo.

Seppure differente in modo dirompente (per le ragioni spiegate) rispetto all’informatica tradizionale fino ad oggi intesa, l’intelligenza artificiale rappresenta l’ultimo (finora) tassello della progressiva e progredita importanza dell’utilizzo combinato dei dati in tutti i campi: calcio compreso.

👉🏻 La tecnologia applicata al gioco del calcio

Senza entrare nello specifico dunque, può essere interessante una riflessione (non etica, ci mancherebbe) sul sempre maggiore utilizzo della tecnologia applicata al gioco del calcio. Per farlo può essere utile iniziare dal fondo, ossia da una dichiarazione rilasciata ad inizio stagione dall’ormai ex allenatore della Juventus Massimiliano Allegri, il quale sostiene di “non farsene nulla del computer in campo, visto che non ce l’ho nemmeno a casa. Se devo sapere come sta un giocatore non interrogo il computer, ma vado in campo e gli guardo le gambe, come si fa coi cavalli”. L’assunto, interpretato in senso letterale, viene smontato dal lavoro quotidiano dello stesso Allegri, che fa monitorare i dati dallo staff già durante le gare e snocciola di contino dati sull’andamento della sua squadra e delle avversarie nelle sue pittoresche conferenze stampa. E c’è di più, perché i suoi ex compagni di squadra ricordano un Allegri giocatore sempre molto attento a dati e statistiche. Il tecnico livornese quindi con quelle parole vuole arrivare direttamente al punto, e lo fa con lo stile provocatorio che gli è proprio (come quando si scaglia contro il bel gioco o contro la complessità del calcio), richiamando il ritorno ad una dimensione umana del calcio come parametro da non perdere mai di vista. Senza ricorrere a ragionamenti troppo complessi, Allegri potrebbe già aver dato la risposta a tutto.

Tracciare una breve storia dell’avanzata importante del progresso tecnologico nel calcio sarebbe lungo e noiosamente didascalico, ma due personaggi spartiacque devono essere citati: Lobanovs’kyj e Bacconi.

Valery Lobanovs’kyj è un ingegnere meccanico ed ex calciatore sovietico, tecnico della Dinamo Kiev, che fin dall’inizio degli anni settanta, oltre ad elaborare un’organizzazione di gioco particolare ed avanzata per l’epoca (pressione, velocità e niente ruoli fissi) si dota di mezzi tecnologici per monitorare e organizzare il proprio lavoro. Chiede alle autorità che gli venga messo a disposizione un computer che utilizza per l’elaborazione sia dei dati fisici che della copertura delle zone del campo: è avanti di almeno venticinque anni in un mondo nel quale il tempo non avanzava ancora veloce come adesso. Il KGB si spaventa e lo mette per breve tempo sotto sorveglianza, per quanto Lobanovs’kyj sia un ufficiale superiore dell’Armata Rossa. La Dinamo Kiev vince scudetti, coppe nazionali e per due volte la Coppa delle Coppe; trapiantata  quasi interamente in nazionale, stupisce il mondo ai mondiali del 1986 e agli europei del 1988, dove elimina una delle migliori Italie di sempre. I club europei (italiani in particolar modo) ci cascano e ne comprano i giocatori che però, disinnestati dal meccanismo generale, stentano ad andare avanti. Tranne il centravanti Blokhin, infatti, nessuno ha qualità tecniche o tattiche eccelse e si capisce tardi che funzionavano solo tutti assieme. Da una parte resta tutto un episodio, seppure durato quindici anni, dall’altra la via è tracciata e resta il rimpianto di sapere se con le intelligenze artificiali Lobanovs’kyj ci avrebbe comunque stupito, come fece allora con gli elaboratori rudimentali.

Adriano Bacconi è uno dei primi preparatori atletici di ruolo, che alla fine degli anni ottanta entra nello staff tecnico del Pisa in serie A. A capo di quello staff c’è il rumeno Mircea Lucescu, appassionato di statistiche e di dati, che costringe i propri collaboratori a scrivere informazioni durante tutte le gare per poi rielaborarle. Il tutto a mano. Bacconi arriva per primo a pensare che, se tutto quel lavoro è utile, occorre l’ausilio di telecamere, computer e software. Di lì a pochi anni nasce la Digital Soccer, un istituto di rilevamento, elaborazione e monitoraggio dati (fisici e di gioco), del quale diventano clienti tutte le maggiori società, a cominciare dalla Nazionale di Arrigo Sacchi (di sicuro il più sensibile a questo genere di strumenti). Si capisce fin da subito che, seppure coi mezzi limitati di metà anni novanta, le possibilità sono infinite e pure i benefici. Tantissimi allenatori si abbonano al famoso IVG (Indice di Valutazione Generale) per poter farne gli utilizzi più disparati: Marcello Lippi lo utilizza per essere informato sui dati delle prossime avversarie della sua Juventus, mentre Zdenek Zeman per controllare l’andamento dei propri giocatori nella Lazio.

La Digital Soccer (che poi si fonderà con il massimo archivio di dati sui giocatori italiani, ossia la Panini di Modena) apre la via ad un proliferare di soluzioni e di aziende specializzate che, complice l’avanzata a grandi balzi della tecnologia e dell’informatica, costituiscono oggi una componente essenziale dell’allenamento e della preparazione fisica.

Siccome nessuno ha dubbi che la via sia quella corretta, si lavora per arrivare ad una situazione simile a quella presente nel football americano, coi report avanzati di incrocio dei dati che arrivano alle panchine già nel corso delle gare, in modo che possano incidere sulle decisioni immediate. Le prime consolle portatili da panchina compaiono già nel 2000, ma ad oggi si è ancora abbastanza indietro su questo fronte, considerando che l’analisi dei dati si continua (per lo meno in Italia) a fare prevalentemente tra una gara e l’altra.

Ad oggi la tecnologia e i sistemi avanzati di reportistica dei dati ricoprono un ruolo strumentale ma essenziale, imprescindibile in molti aspetti dell’allenamento, dai test, al monitoraggio di risultati e prestazioni. Si tratta di un utilizzo sano che giova ad allenatori e preparatori e li migliora.

Siccome nulla è fermo, meno che mai in questi tempi, sono tanti gli interrogativi sul possibile sviluppo di questa integrazione, in particolare sullo spazio occupato dai nuovi sistemi rispetto all’ambito umano. Per esempio: se l’intelligenza artificiale è in grado di svolgere un tema, di risolvere un problema o di fare una ricerca, di redigere un atto notarile o scrivere le motivazioni di una sentenza (ipotesi già in discussione), potrebbe un domani anche realizzare un programma di allenamento o schierare una formazione meglio di Ancelotti?

L’interrogativo di Gunther Anders non è dunque fantascienza, perché se da un lato professori, notai e avvocati si indignano deontologicamente di fronte alle ipotesi citate, ci sono commissioni e laboratori in cui tutti questi progetti vengono portati avanti.

L’esempio del licenziamento di Eric Massara un anno fa è emblematico delle possibili derive negative che ci si possono aspettare. Massara nei fatti è un direttore sportivo che per quattro anni ha cavato sangue dalle rape (come un direttore sportivo bravo deve saper fare) allestendo una squadra in grado di arrivare prima e seconda spendendo molto meno delle dirette concorrenti (e giocando pure bene, diciamolo). La nuova proprietà americana imputa (a lui e a Maldini) una gestione del mercato non conforme a quanto avrebbero indicato i modelli statistici, che incrociano valore e rendimento dei giocatori. Si tratta solo di americani che non conoscono il calcio e ci sbatteranno il naso? Forse, ma forse no. Fatto sta che un bel lavoro è stato tacciato di essere un brutto lavoro, in base al mancato utilizzo di modelli e di indici che valgono per il baseball, dove appunto il numero di battute e di lanci giusti o sbagliati in un anno vale tutto, ma non nel calcio, dove la natura del gioco impone un metro di valutazione esperto ed umano da affiancare al dato. E’ il classico esempio dell’esercizio chiuso e dell’esercizio aperto che Velasco faceva già trent’anni fa.

La palla, per ora, continua ad rimanere rotonda…

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