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La nuova morte di Denis Bergamini

17 Gennaio 2025

Carlo Petrini è un uomo al quale la vita non ha fatto sconti. Calciatore professionista ai massimi livelli, combina le partite e viene condannato. Si dopa e diventa cieco fino ad ammalarsi mortalmente. Tresca nell’ambito delle scommesse e della criminalità organizzata che lo portano a fuggire all’estero e nascondersi. Da ultimo gli succede la cosa peggiore che possa accadere ad un padre, ossia sopravvive a suo figlio. Il tutto nel peggiore contesto di agonia, perché essendo latitante gli altri figli fanno un appello pubblico invano a “Chi l’ha visto” perché il fratello malato possa rivedere il padre prima di morire.

Alla fine degli anni novanta Petrini riesce allo scoperto e, non avendo più niente da perdere, lancia una bomba atomica contro il sistema calcio pubblicando la sua autobiografia, Nel fango del dio pallone”, in cui racconta tutto. Un best seller, per quanto silenziato dal mondo della comunicazione, estremamente scomodo. Petrini, infatti, non è un giornalista scrupoloso che ha ricostruito con le indagini, ma un testimone oculare, anzi, un protagonista di quello che racconta: calciatore del Milan campione d’Europa di Nereo Rocco, compagno di squadra di Trapattoni, amico intimo di Marcello Lippi ed Ariedo Braida, compaesano di Luciano Moggi. Ai protagonisti delle vicende raccontate, comunque, basta un “non mi ricordo, non sono al corrente” per cavarsela, e pochi sono gli episodi pubblici imbarazzanti (come una ospitata nelle tv private piemontesi con alcuni protagonisti della famosa Bologna – Juventus 1980, poi interrotta da una provvidenziale sospensione del segnale televisivo).

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Dopo il primo libro si apre per Petrini un piccolo filone aurifero di libri/inchiesta molto interessanti anche se un po’ ripetitivi ed autoreferenziali, tutti pubblicati dalla Kaos Edizioni. Il primo ha un titolo curioso, “Il calciatore suicidato”. Si riferisce ad una vicenda accaduta alla fine degli anni ottanta, periodo nel quale Petrini era già probabilmente scappato in Francia e comunque non più in attività, ma sulla quale ha fatto indagini approfondite.

Il calciatore suicidato è Donato (Denis per gli amici) Bergamini, proveniente dal basso ferrarese e in forza al Cosenza nel campionato di serie B del 1989-90. Il Cosenza si barcamena nei bassifondi ma si tratta di una serie B molto difficile per il livello altissimo dei protagonisti: vinto dal Torino schiacciasassi di Fascetti (che era retrocesso per caso), ma anche dal Parma di Scala (che di lì a poco vincerà la Coppa Uefa), annovera tra i suoi cannonieri tutti futuri giocatori di serie A (Silenzi, Signori, Pizzi, Protti, Corini, Ciocci, Galderisi, Lorenzo e il compagno di stanza e migliore amico di Bergamini, Michele Padovano). Bergamini si suicida buttandosi sotto un autocarro nel novembre 1989 davanti agli occhi della sua fidanzata/ex fidanzata dell’epoca.

Il caso viene archiviato dopo poche indagini, tra il lutto e lo sgomento di chi lo conosceva. Il mondo del calcio è veloce a voltare pagina e anche questa volta non fa eccezione. Proprio da questa considerazione parte l’analisi di Petrini, che sostiene che di Bergamini alla giustizia, ai giornalisti ed ai vertici delle organizzazioni sportive non interessa nulla; nessuno si è rotto la testa per sapere se le cose siano effettivamente andate in quel modo.

Il libro di Petrini ricostruisce abbastanza accuratamente prima l’ambiente nel quale la vicenda si svolge, ossia il Cosenza con le sue infinite voci sulle possibili aderenze con la criminalità organizzata locale (Petrini, per inciso, ha sempre sostenuto che i legami tra il calcio e la criminalità organizzata fossero infinitamente superiori ad ogni possibile previsione), e poi si è concentra sulla stagione 1989-90 della squadra, sul suo avvio stentato e sulle tante prestazioni sotto tono. Intervista parenti, amici, compagni di squadra e più gente possibile, Alcuni sono molto collaborativi, altri meno. Quello che ne esce fuori è il ritratto di un ambiente brutto, che si trascina in modo grigio, senza valori sportivi, senza etica ed entusiasmo.

Certo Petrini ha buon gioco a far tornare i conti a modo suo, dipingendo un mondo di gente senza speranza, inchiodato dai propri errori (tipo i fratelli Karamazov), perché così rispecchia quello che era stato il suo.

Il libro non arriva alla soluzione del caso perché non ci sono i mezzi per avere le prove di quello che è successo. Però si conclude con la prova certa che la versione ufficiale, la vulgata, è sbagliata. Non si può dire chi lo abbia ucciso, ma non si è suicidato. Troppe incongruenze. Gli ultimi che lo hanno visto in vita non hanno rilevato malumori eccessivi, depressioni o problemi. Inoltre, la dinamica dell’incidente è sballata, in quanto, ad esempio, la salma aveva addosso capi di vestiario intonsi anziché lacerati dall’investimento.

Anche in questo caso il libro di Petrini viene silenziato da giornali e magistrati, ma rientra in scena inaspettatamente “Chi l’ha visto”. Inizia una costante campagna di martellamento aiutata dalla famiglia di Bergamini. Petrini muore nel 2012, pochi mesi dopo il deposito della perizia con la quale la polizia giudiziaria dimostra che al momento dell’investimento, Bergamini fosse già morto per soffocamento (e non per la lesione all’addome provocata dall’autocarro).

Il processo penale si riapre fiancheggiato da “Chi l’ha visto”, che aumenta gli spazi dedicati al caso,. Mediaticamente si chiarisce che Bergamini non si è suicidato e quindi è stato ucciso. I giornalisti, a questo punto, sono obbligati ad indagare. S sommando gli sforzi di tutti, nel decennio successivo, emergono tre possibilità:

  • Bergamini sarebbe stato un giocatore puro e non avrebbe voluto collaborare con la criminalità organizzata locale alla combina delle partite ed ad altri traffici. Essendo un leader dello spogliatoio, i compagni ne avrebbero potuto seguire l’esempio e quindi è stato ammazzato per fermare la sua azione moralizzatrice. Questa è la versione più vicina alle ipotesi di Petrini, confermata da tante frasi raccolte a metà e dalle lamentele di chi seguiva la squadra che faceva schifo (lo stesso padre di Bergamini dopo aver visto l’ultima scialba prestazione contro il Monza dice al figlio che non sarebbe più venuto allo stadio). Il tutto è verosimile anche se contrapposto all’indole del giocatore, che non viene descritto dagli amici più cari (tra cui il massaggiatore della squadra) come uno carismatico, ma più come uno mite che si fa trascinare;
  • Bergamini sarebbe stato un corriere della droga involontario, che girava con una Maserati con i sedili a doppio fondo e con cui a volte ci andava in trasferta con la squadra. Senza sapere nulla. Una volta scoperta la cosa è stato ucciso per tappargli la bocca (curiosamente è la trama del film I soliti ignori vent’anni dopo, uscito quattro anni prima della vicenda);
  • Bergamini avrebbe messo incinta la fidanzata che avrebbe abortito segretamente, e visto che avrebbe riconosciuto il figlio, ma non si sarebbe voluto sposare, i parenti della stessa si sarebbero vendicati, uccidendolo per vendetta.

In tutti e tre i casi la ex fidanzata sarebbe coinvolta, in quanto l’unica presente al momento della morte. Nell’ottobre del 2024 la Corte d’Assise la condanna per concorso in omicidio volontario. Non ammettendo il tutto e continuando a dichiararsi innocente (e ricorrente in appello), restano infiniti buchi anche in questa ultima ricostruzione.

A cominciare dal fatto che le indagini si sono concentrate solo sulla pista del delitto d’onore, che attirerebbe la soggettività attiva del reato unicamente sulla ex fidanzata e sulla sua famiglia, liberando tutto il sottobosco che ha fatto da sfondo alla vicenda da ogni sospetto. Finirebbe come il Pasticciaccio di Gadda quindi. Una pista che andrebbe contro ad una dichiarazione, riportata da Petrini, che gli avrebbe fatto il padre di Bergamini, secondo cui Michele Padovano sarebbe stato al corrente di qualche dettaglio in più sulla morte, e che la verità l’avrebbe saputa un intermediario di Moggi che si era occupato del trasferimento di Padovano al Napoli. Petrini narra che Padovano, intervistato da lui per la ricostruzione, ai tempi in cui giocava nel Como, si sarebbe infuriato inveendo contro il padre di Bergamini ed avrebbe interrotto l’intervista.

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