Diario di Bordo

Diario di bordo: quanto conta la programmazione? Episodio 3

21 Ottobre 2023

Nell’articolo di oggi voglio portarvi alcune considerazioni sulla programmazione delle sessioni di allenamento nel calcio giovanile e di come questo possa aprire un dibattito sulla sua importanza o meno.

Lo confesso, ho fatto parte di entrambi gli schieramenti. Nella mia prima parte della carriera pianificavo ogni singolo momento della seduta e degli allenamenti fino a quando, preso dall’esasperazione nel vedere crollare o non rispettare le mie aspettative, sono passato al “lato oscuro della forza”: zero pianificazione, o meglio, niente di scritto.

Cullato dal fatto che mentalmente e sul mio computer avevo una banca dati enorme, costruivo parte della seduta, o la sua totalità, nella mia testa. Sinceramente non ricordo il motivo scatenante; quasi sicuramente arrivai impreparato ad una seduta o, ancora peggio, improvvisai per qualche ragione e, maledizione a me, la cosa funzionò e bene (tanto che per per anni proseguii così).

Le stagioni passarono e l’esperienza aumentò, così come il senso di autocritica e lo spirito di osservazione, che mi fecero rivalutare che, tutto sommato, “la verità sta nel mezzo”.

In forma sporadica e non continuativa, ad inizio, a metà e a fine stagione, scrivevo una sorta di relazione, un report sui progressi e sulle osservazioni raccolte. Una specie di azione meccanica per svuotare il cervello e fare spazio ad altre informazioni, così come rianalizzare il tutto da un altro punto di vista e correggere il necessario ma, nonostante ciò, rimaneva sempre lì a fissarmi “l’elefante nella stanza”: i bambini.

Esistono ormai un’enorme letteratura e tantissime scuole di pensiero sia sulla psicologia del bambino sia sulla metodologia di allenamento, e come ciò possano interagire nella programmazione delle sedute. Tuttavia spesso finiamo per non considerare il secondo “elefante nella stanza”: noi allenatori.

Per quanto il nostro obiettivo sia la formazione dei bambini, spesso il più grosso problema e ostacolo (spesso involontario) nella formazione dei bambini siamo proprio noi allenatori. Molti affermeranno con certezza di essere integerrimi, che la loro competenza ed esperienza non influenzerà minimamente il processo, ma prima lo accettiamo prima possiamo concentrarci e fare il meglio per il nostro gruppo di bambini/ragazzi .

La consapevolezza di cui parlo, sia intrapersonale che interpersonale, è la base teorica di una buona programmazione: conoscere sé stessi e il proprio gruppo, così come essere consapevoli su tutti quegli aspetti che riguardano la formazione sia del singolo giocatore che del gruppo. Essere consapevoli di queste informazioni non vuol dire né accettarle passivamente (come dato di fatto) né chiudere la porta ad altre informazioni. Dobbiamo fare nostra l’elasticità mentale, o meglio la “plasticità”, che molti associano al bambino, la stessa che molti imputano come causa principale del non programmare le proprie sedute: “il bambino oggi ha questo umore, domani chissà.“ Frasi che possono far nascere più di un dubbio sul fatto che il non programmare a volte sia più una scusa legata alla pigrizia del formatore e al suo sottovalutare, inconsciamente, l’impegno preso: “tanto sono bambini e domani si saranno scordati tutto”.

Sia chiaro che non esiste a priori una programmazione sbagliata ed una corretta, così come non esiste un modo migliore o peggiore per scriverla, perché si ritorna al processo iniziale di autocritica e auto-analisi che ogni allenatore dovrebbe fare in merito ai suoi obiettivi, alle sue aspettative, ai mezzi e strumenti che pensa di utilizzare nel rispetto e nella considerazione del gruppo che andrà ad allenare; motivo per il quale ritorna importante la pratica esposta nelle puntate precedenti di questo diario, della partita o gioco libero. In che senso? Se non conosco il gruppo lo faccio giocare.

Se il gioco è e rimane il punto focale per il bambino, per noi quale potrà mai essere? Farsi domande e accettare il fatto di non essere degli allenatori infallibili. Accettare lo sbaglio, perché l’errore e la sua accettazione sono il primo passo verso la costruzione di un percorso di crescita che si possa definire tale; sia per il giocatore che soprattutto per noi stessi.

Chiariti e fissati questi punti, se usciremmo indenni da questo primo scontro con noi stessi potremmo iniziare col pensare (scrivere è ancora un miraggio) alla nostra programmazione. Che cosa rappresenta per noi il calcio? E’ una passione? E’ uno strumento di crescita personale? Una rivincita?

[continua]

  • Nelle 3 ore che danno forma al video corso “Trucchi da campo”, ho cercato di raccogliere le problematiche maggiori e le relative soluzioni nelle quali mi sono imbattuto nei miei 18 anni passati fin qui in panchina.

    7 Episodi (180 min.)
    20,00 

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